Premio Letterario 2019

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Anno 2019

I PATRIMONI MATERIALI E IMMATERIALI DELLA CALABRIA

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I patrimoni materiali e immateriali della Calabria tra “nobiltà” e “miseria”

 Il titolo dell’opera teatrale di E. Scarpetta e del film di M. Mattioli, Miseria e nobiltà, sembra adattarsi bene all’argomento della brochure che inaugura la nuova stagione del Premio Feudo di Maida. Forse inevitabilmente, il tema proposto agli illustri Autori, I patrimoni materiali e immateriali della Calabria, è stato, per loro libera scelta, declinato su tale antitesi: da una parte, la nobiltà, e quindi la disamina e l’esaltazione orgogliosa dei patrimoni della Regione e, dall’altra, la miseria, nel senso dello stato in cui versano quegli stessi patrimoni o della considerazione in cui sono tenuti.

Apre la brochure Fabrizio Mollo, autore di una ricca disamina del patrimonio archeologico calabrese di cui offre un denso scenario dal titolo significativo: Al centro del Mediterraneo. Una centralità storica che dovrebbe spingere i calabresi a «riappropriarsi consapevolmente del proprio importante passato».

Il delicato rapporto tra ricca documentazione e inadeguata conservazione è al centro del contributo di Vincenzo Naymo. Emerge il triste paradosso sulla dispersione tutta recente di gran parte dei documenti dei primi secoli dell’età moderna insieme all’invito alle istituzioni a che l’incuria e il disinteresse non produca altri danni.

L’orgoglio per l’antica tradizione della stampa calabrese e la ricchezza delle collezioni pubbliche e private, compresa quella dell’Autore stesso, Domenico P. Romano Carratelli, segna il contributo sul patrimonio librario della Calabria. Sopravvissuti a eventi naturali e umani tali collezioni restano però spesso sconosciute ai più e in attesa di una giusta valorizzazione.

Dura è la denuncia di Domenico Pisani dello stato in cui versa il patrimonio artistico calabrese.

Incuria, degrado, incultura e indifferenza connoterebbero un rapporto problematico dei calabresi e dei loro rappresentanti politici con i beni artistici ostacolando il necessario recupero e messa in valore.

Cuore del contributo di Francesco Bevilacqua è, invece, il paesaggio calabrese dal Grand Tour ad oggi. Un paesaggio noto ai viaggiatori stranieri e quasi obliato dagli abitanti è additato dall’Autore come risorsa primaria per lo sviluppo della Regione, non un miraggio ma una concreta opportunità.

Patrizia Nardi si esprime sul ricco patrimonio culturale della regione e sulle strategie di valorizzazione attivate che hanno portato a riconoscimenti importanti, come quello della “Varia” di Palmi, lamentando però l’assenza di una governance condivisa, sia a livello calabrese che italiano.

Chiude la brochure il contributo di Lucia Lojacono, sul patrimonio dei Musei diocesani e sulle funzioni chiave cui devono assolvere in modo da comunicare non solo alla comunità cristiana ma ad un pubblico più eterogeneo «il sacro, il bello, l’antico, il nuovo».

I contributi qui raccolti invitano tutti a scoprire, ricordare e comunicare consapevolmente le “nobiltà” della Calabria affinché non restino vaghe “potenzialità” ma diventino concrete occasioni per ripensarsi, riconoscersi e per sentirsi di nuovo “centro” e non più “periferia”.

Salvatore Speziale

Docente di Storia dell’Africa.

Università di Messina.

Al centro del Mediterraneo: la Calabria nell’antichità tra identità culturale e interazioni socio-commerciali

La Calabria antica, all’interno della Megale Hellas greca, è una regione multiforme e variegata, aspra e ospitale al tempo stesso, caratterizzata da numerosi microcontesti territoriali, con notevoli diversità strutturali e culturali. Pur trascurata dal Grand Tour e oggetto di ricerche solo da fine ‘800 con Paolo Orsi, ha attirato l’attenzione degli studiosi che cercavano le colonie greche fondate a fine VIII sec. a.C. sullo Ionio: le achee Sibari, Crotone e Caulonia, quella di Locri e Reghion, a controllo dello Stretto, fondata da Calcidesi e Messeni. Sibari divenne grande potenza economica e territoriale, inglobando nel suo impero, tra il Sele e il Savuto, le popolazioni indigene degli Enotri, sino al suo epilogo, coincidente con la distruzione nel 510 a.C. ad opera di Crotone. Locri, con il suo sistema aristocratico basato sul controllo della terra, nel VII sec. a.C. estese il suo dominio sulla costa tirrenica fondando Hipponion e Medma. La prosperità di queste colonie, pur segnata da scontri per l’estensione del loro dominio, ha lasciato ricche tracce (grecità poi rinverdita nel medioevo dai Bizantini) attraverso lo sviluppo urbano, le strutture pubbliche e abitative, le aree funerarie, ma soprattutto i grandi luoghi di culto, urbani ed extraurbani (come i santuari locresi e cauloniati, le grandi aree extraurbane di Hera Lacinia e l’Athenaion sul Timpone della Motta di Francavilla Marittima). A caratterizzare specificità e ricchezza della grecità calabrese sono gli straordinari documenti della cultura materiale e figurativa presenti nei tanti Musei Archeologici regionali: si pensi, per tutti, ai Bronzi di Riace del V sec. a.C.

La Calabria è terra d’incontro tra culture, da quelle autoctone degli Enotri che, pur con una peculiare identità culturale, recepiscono gli stimoli provenienti dai Greci, a quelle fenicio-puniche ed etrusche lungo il Tirreno, oltre al mondo egeo e orientale. Il lento declino delle città greche di Calabria tra il V e il IV sec. a.C. coincide con l’arrivo dall’Italia centrale, in forma di mercenari, delle popolazioni sannitiche dei Lucani e dei Brettii. Essi s’inseriscono nel tessuto di molte città italiote creando un sistema insediativo confederale intorno alla Sila-Silua: la loro specifica identità culturale si perde con l’arrivo dei Romani, dopo la guerra contro Annibale e gli stessi Italici.

I Romani istituirono la via Annia-Popilia, colonie latine (Copia e Vibo Valentia) e romane (Croto e Tempsa), centri urbani a continuità di vita (Regium Iulii, Locri, Scolacium, Cosentia, Clampetia, Petelia tra gli altri) e grandi ville di produzione e di ozio che fecero della regione un’importante area del nascente impero. L’interesse per la romanità, tardivo e legato a una storiografia negativa, è confermato dall’economia della Calabria antica, espressa dalle anfore da

trasporto che commercializzavano nel Mediterraneo vino, olio, grano, fichi, pece, legname, salse e salagioni di pesce. Ciò certifica la centralità della regione in ogni epoca, elemento cui dovrebbero oggi anelare i Calabresi per riappropriarsi consapevolmente del proprio importante passato.

Fabrizio Mollo

Docente di Archeologia classica.

Università di Messina.

Risorse e aspetti del patrimonio archivistico calabrese

 Si è rilevato in varie sedi che il quadro della conservazione delle fonti storiche per la Calabria è tutt’altro che roseo. Gli eventi naturali e l’incuria degli enti destinati alla salvaguardia dei fondi archivistici sono fra le cause principali della mancata o parziale trasmissione di numerosi documenti fondamentali per la ricostruzione e lo studio della storia della Regione. Se per epoche prossime alla nostra, quali il Settecento e l’Ottocento, il materiale tramandatoci ha una certa consistenza ed organicità, per secoli più remoti, quali quelli del medioevo e della prima Età moderna, i documenti si fanno sempre più scarsi e insufficienti. Il Cinquecento può essere considerato al riguardo un secolo cesura, perché se per la seconda metà dello stesso è possibile rinvenire una qualche documentazione, per i primi decenni i documenti diventano assai rari.

Questa situazione è stata originata dalla dispersione di gran parte degli archivi delle corti feudali, degli organi giudiziari periferici, di quelli dei castelli, delle antiche università cittadine e degli archivi privati. A tale proposito occorre rilevare, non senza una punta di rammarico, che la stragrande maggioranza delle fonti perdute è stata dispersa soltanto fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, quando erano state ormai emanate leggi specifiche per la tutela del patrimonio archivistico. Dietro questo apparente paradosso si cela forse l’inconscia volontà di liberarsi troppo frettolosamente di un passato ritenuto da dimenticare dalla storiografia del tardo Ottocento. Così, documenti che avevano superato incolumi il medioevo e i secoli dal Cinquecento al Settecento e che il Regno meridionale aveva tramandato, sono svaniti nel nulla un centinaio d’anni or sono, all’indomani dell’Unità, privando i posteri della possibilità di studiarli o compromettendo seriamente l’esito di talune indagini.

Il quadro tracciato risulterebbe allarmante se non vi fossero alcune eccezioni: fra queste basterà citare le fonti notarili e quelle degli enti ecclesiastici. La Calabria, nel complesso, abbonda di tale documentazione che integra sufficientemente le lacune createsi con la dispersione di cui si è riferito.

Oggi i fondi archivistici degli antichi notai sono conservati in larga misura presso gli Archivi di Stato della Regione; i fondi ecclesiastici, invece, sono custoditi presso le varie sedi vescovili dove si sono formati nei secoli.

La produzione notarile regionale abbraccia, di norma, un arco cronologico che va dalla fine del Quattrocento alla fine dell’Ottocento ed è capillarmente disseminata in tutti i centri della Calabria, compresi i piccoli casali privi di autonomia amministrativa. Le fonti ecclesiastiche conservano un’importante documentazione formata da visite pastorali, documenti del clero e processi inquisitoriali, e da fondi pergamenacei la cui costituzione risale al medioevo. Questa immensa documentazione costituisce un prezioso patrimonio culturale che la Regione ha il dovere di salvaguardare e di tutelare.

Vincenzo Naymo

Docente di Storia Moderna.

Università per stranieri di Reggio Calabria.

Il patrimonio librario della Calabria

Il 23 febbraio 1455 è una data che cambia il mondo, a Magonza viene stampato il primo libro: la cosiddetta Bibbia di Gutenberg. La stampa a caratteri mobili è l’invenzione che di fatto apre le porte alla modernità, ancor più della scoperta dell’America. Rapidamente la stampa a caratteri mobili si diffonde in Italia ed anche in Calabria.

Nel 1475 apre la prima tipografia a Reggio Calabria, gestita da Abraam ben Isaac. Il primo libro che viene stampato, nel febbraio-marzo 1475, è un incunabolo: il Commentarius Pentatheucum, il primo testo in ebraico del mondo. Nella seconda metà del Quattrocento Cosenza, la città più ricca e più evoluta della Calabria, diviene il centro in cui si stampa il più alto numero di libri nella regione.

La città vive un periodo straordinariamente positivo ed è un centro di vita umanistica e culturale la cui fama oltrepassa i confini italiani.

Nella stessa città, ricca di scuole di eloquenza, di materie umanistiche e di retorica nasce l’Accademia Cosentina che ha il suo più illustre esponente nell’umanista Giovan Paolo Parisio. Si ha notizia che già nella prima metà del Cinquecento vi fosse un fiorente commercio di libri. In seguito nascono stamperie in molti altri centri della Calabria, anche se spesso per brevi stagioni.

La Calabria, si sa, è terra di terremoti, di eventi naturali assai distruttivi e di guerre che hanno devastato uomini e cose; ciò nonostante uno straordinario patrimonio librario di grande importanza storica e bibliografica sopravvive, custodito nei monasteri, nelle biblioteche pubbliche ed in quelle private. E’ impossibile elencare in una breve nota tutte le biblioteche presenti nella Regione, basterà, per tutte, citare le civiche di Cosenza e di Catanzaro e quella del Monastero di Soriano ove ve ne è una tematica sulla Calabria. Questo Patrimonio è una realtà sconosciuta, e non l’unica, della Calabria dove, ancora oggi, troviamo straordinarie e stupefacenti biblioteche, un grande tesoro culturale non valorizzato della nostra Regione.

Esistono anche numerose biblioteche private, alcune delle quali di gran pregio, con preziose collezioni di libri antichi e rari, tra queste la Biblioteca Lucifero a Crotone, quella Greco a Cosenza e quella Capialbi a Vibo Valentia.

Parlando del Patrimonio librario della Calabria non si può ignorare il Codice Romano Carratelli che è conservato nel fondo antico della Biblioteca della stessa famiglia. E' un manoscritto cartaceo anepigrafo, riapparso di recente dopo 400 anni di oblio, che rappresenta la pianificazione del sistema difensivo della Calabria Ulteriore; vi sono illustrate le città fortificate, i castelli, i territori e le torri costruite e da costruire. E' oggi la più antica iconografia della regione, che si compone di 99 acquerelli con note descrittive in calce, datata all’ultimo quinquennio del Cinquecento. E' un documento di assoluto valore storico-culturale che ci restituisce una Calabria di cui non avevamo memoria.

Prof. Domenico P. Romano Carratelli

Tempus edax, homo edacior

«Le ragnatele/ dietro i vetri, le madonne/ la ragnatela del Carmine/ la ragnatela di Portosalvo/ la ragnatela della Quercia». Così recitano alcuni versi del Canto dei nuovi emigranti (1964) di Franco Costabile, poeta di Sambiase. Rileggendoli sembra di toccare con mano l’incuria, l’abbandono in cui versano tante chiese calabresi, contenitori di capolavori d’arte misconosciuti. In molti paesi, infatti, dopo il Concilio Vaticano II, gli altari laterali, caduti in disuso, furono in certi casi smantellati e in altri dimenticati segnando il loro degrado. Stessa fine fecero gli affreschi, imbiancati a calce, e gli arredi sacri (cartagloria, candelabri, cornucopie e lampade votive). Non è raro inoltre, imbattersi in sculture lignee, che solo qualche anno fa avevano ancora le loro cromie originali, imbrattate con smalti sintetici. Purtroppo, per culpa in vigilando di più d’uno e pro bono pacis verso una Chiesa spesso disattenta verso le problematiche artistiche, improvvisati restauratori hanno ridipinto a smalto e deturpato le più belle statue lignee della Calabria, inficiando spesso ogni possibilità attributiva seppellendo le firme degli statuari sotto strati di colore. La cancellazione della memoria è così operata sistematicamente, lentamente e inesorabilmente. Pur con belle e notevoli eccezioni, in Calabria, dove a volte prevalgono l’incultura e l’indifferenza verso la devastazione del paesaggio e dell’ambiente, la percezione del patrimonio culturale è quella di deposito passivo della memoria storica e dell’identità, che si esplica in una teoria di musei non sempre fruibili e di chiese chiuse custodi d’opere d’arte di alto valore. Spesso si avverte insieme a un’inquietante indifferenza verso i beni architettonici, visti come inutile fardello o intralcio allo svecchiamento, un malinteso senso del progresso e della modernizzazione che preoccupa e indigna. I restauri dei palazzi storici paiono fuori controllo a causa di colori che collidono con il buon gusto, per non parlare di vetrine da negozio in alluminio o di insegne al neon su strutture che meriterebbero ben altro. Una politica miope ha vilipeso i beni artistici calabresi percependoli come “minori”, più appannaggio degli antropologi che degli storici dell’arte, e non come parte integrante di un territorio da tutelare o uno stimolo alla creatività del presente per la costruzione del futuro. Eppure lo Stato ha integrato già dal 1948 la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale nella Carta costituzionale. L’articolo 9, infatti, enuncia: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Ancora però ci si nasconde dietro l’ordine di priorità: la Calabria ha molti problemi ma finché non si comprenderà che la tutela della cultura è destinata a concorrere all’elaborazione di un metodo utile a formare e rafforzare l’identità non ci sarà mai un completo riscatto dalle logiche che tollerano scheletri di cemento armato destinati a stuprare il paesaggio, simboli del “non finito” calabrese.

Domenico Pisani

Storico dell’Arte.

Calabria, paesaggi e miraggi

Il paesaggio è il segno trepido che la cultura ha lasciato sulla natura in secoli di lenta evoluzione. Ma se l’uomo plasma e percepisce il paesaggio, egli vive, spesso inconsapevole, nel paesaggio, è paesaggio egli stesso. Mi piace dire: non si dà paesaggio senza comunità, ma neppure si dà comunità senza paesaggio. Non è più possibile, oggi, riconoscere eminenza e attrattività a un paesaggio se la comunità che lo abita non ne diviene essa stessa strenua custode. Luoghi, beni materiali e immateriali potranno divenire patrimonio dell’umanità solo se prima lo saranno delle loro comunità.

E' verso la fine del Settecento, dopo il grande terremoto delle Calabrie del 1783, che un manipolo di viaggiatori stranieri sciamò a sud di Napoli, dando vita a quella che Attilio Brilli ha definito «variante avventurosa del Grand Tour». Questi viaggiatori cercavano per lo più le vestigia della Magna Grecia. Quasi tutti però restavano invece stupiti dinanzi alla bellezza sublime dei paesaggi calabresi, soprattutto quelli, non previsti, dell’interno e delle montagne. Tant’è che nei loro diari di viaggio, dovettero ricorrere a paragoni con improbabili luoghi esotici per far capire ai lettori cosa essi avevano scoperto: da Norman Douglas a Horace De Rilliet, da Guido Piovene a François Lenormant, da Louis e Charles de Foucher a Craufurd Tait Ramage, e via discorrendo.

Avvenne così che, negli stessi anni in cui si materializzava la scoperta delle Alpi da parte di osservatori esterni, altri osservatori esterni “inventarono” il paesaggio della Calabria. E tuttavia, a differenza delle Alpi, che divennero meta di milioni di visitatori, i paesaggi della Calabria restarono relegati ai diari di quegli avventurosi viaggiatori. E del paesaggio calabrese si perse memoria, perfino presso i calabresi. Al punto che dal secondo dopoguerra in avanti poté prodursi indisturbato il sacco del paesaggio della Calabria. In nome di quel complesso di inferiorità collettiva della civiltà contadina del Sud rispetto a quella industriale del Nord, riconosciuto, fra gli altri, da Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Berto.

Il paesaggio della Calabria è dunque, ancor oggi, un oggetto misterioso, un miraggio. In realtà esso rappresenta l’unica e vera “attività produttiva” della regione, come dimostrano le centinaia di imprese vocazionali che sorgono dappertutto e il fatto che persino il New York Times ha indicato la Calabria fra le mete più ambite di un turismo consapevole.

Ai miraggi, allora, contrapponiamo i paesaggi. Ossia quei luoghi reali che l’uomo, nel bene e nel male, ha forgiato dalle forze vive della natura e che costituiscono il vero futuro della Calabria, le sue molteplici vocazioni, la sua identità, la sua ideazione, il suo principio di individuazione.

«Nasciamo – scriveva Rilke –, per così dire, provvisoriamente in un luogo; è a poco a poco che componiamo in noi il luogo della nostra origine, per rinascervi in un secondo tempo e ogni giorno più definitivamente».

Francesco Bevilacqua

Avvocato e scrittore.

Dare futuro al patrimonio culturale italiano. Insieme alla Calabria

La tutela, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale – inteso soprattutto come luogo di incontro oltre lo spazio fisico, percepito come caleidoscopio di diversità che nelle espressioni tangibili e intangibili della creatività umana trova la sua più interessante sintesi – in un Paese straordinariamente ricco di giacimenti culturali come l’Italia, non possono non richiamarci alla responsabilità su due temi, di significativa attualità: la cultura come strumento dell’integrazione e della coesione sociale e l’efficacia delle politiche pubbliche rispetto ad una circolarità di idee e di azioni che non può prescindere dal coinvolgimento contestuale dei decisori politici, degli operatori culturali, degli imprenditori della cultura. In altre parole, non si può procrastinare oltre la necessità della “cura condivisa” e consapevole affidata, se pur con modalità diverse, al pubblico e al privato, allo Stato e alla società civile su una base strategica di programmazione e progettazione. E questo vale in particolare per la Calabria, la regione europea che è tra le prime per patrimonio culturale disponibile, non solo archeologico, della quale però la conoscenza effettiva e la consapevolezza sono ancora limitate.

Manca una governance condivisa, in Calabria, così come in Italia. Pur a fronte di un crescente dibattito sul tema, l’episodicità e la discontinuità degli interventi che hanno visto, negli ultimi anni, l’impegno congiunto di amministrazioni, organizzazioni del terzo settore e società civile non hanno ancora prodotto un costrutto olistico d’insieme. E questo, nonostante l’Italia sia tra gli Stati parte più attivi delle Convenzioni UNESCO che raccomandano – per ciò che riguarda i piani di gestione e di salvaguardia dei siti e degli elementi riconosciuti Patrimonio dell’Umanità – il coinvolgimento concreto delle comunità che, nel caso della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio culturale immateriale diventa addirittura determinante per l’impianto bottom up delle candidature stesse; nonostante la Calabria registri un riconoscimento UNESCO “fonte e modello d’ispirazione”, la Varia di Palmi con la Rete delle Macchine a spalla, che mette in atto buone pratiche di salvaguardia condivisa da molti anni; e nonostante i principi fondanti della Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa del 2005, in Italia ancora in attesa di ratifica. E’ questo un testo rivoluzionario che rinnova profondamente il concetto stesso di patrimonio culturale che diventa strumento da cui trarre beneficio nella forma del benessere, individuale e collettivo, nella costruzione di una società pacifica e democratica, nei processi di sviluppo sostenibile e nella promozione della diversità culturale sulla base di alcuni concetti molto innovativi dai quali bisognerebbe partire per dare compiutezza e organicità alla gestione dell’immenso patrimonio culturale italiano, che è testimonianza quotidiana della nostra storia. La strada è tracciata, bisogna percorrerla.

Patrizia Nardi

Esperto in valorizzazione del patrimonio culturale e candidature UNESCO.

«Comunicare il sacro, il bello, l’antico, il nuovo»: i Musei diocesani di Calabria

 La Lettera circolare La funzione pastorale dei musei ecclesiastici edita nel 2001 dalla Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa contiene le premesse teoriche cui si sono ispirati progetto museografico e ordinamento  scientifico di buona parte dei tredici Musei diocesani calabresi: a Reggio Calabria, Oppido Mamertina, Gerace, Tropea, Nicotera, Catanzaro, Lamezia Terme, Cosenza, Lungro, San Marco Argentano, Cassano Ionio, Rossano e Santa  Severina. Il documento CEI raccomanda che i musei ecclesiastici siano organizzati «in modo da comunicare il sacro, il bello, l’antico, il nuovo».

«Comunicare il sacro» è possibile tramite esperienze di arte e catechesi, percorsi tematici legati alla storia della Chiesa locale, ai tempi liturgici e alle festività religiose, ma anche, nel nostro tempo, attraverso una proposta educativa che consideri il carattere multiculturale della società attuale. Al riguardo, a Reggio Calabria nel 2016, per le Giornate  nazionali dei musei ecclesiastici dedicate al tema Se scambio cambio, il Museo diocesano promosse uno scambio con gli ospiti delle Case accoglienza per minori non accompagnati giunti in città in occasione degli sbarchi di migranti: un sensibile docente di lettere, assieme ai ragazzi delle comunità suoi allievi, propose un reading letterario con testi sul Mediterraneo e sui temi del viaggio e della Bellezza, un affascinante fluire di versi e prose attinti alla letteratura greca, araba, orientale, nell’ambito di una festa-incontro tra culture diverse.

«Comunicare il bello» si realizza anzitutto grazie alle proposte didattiche che i Musei diocesani rivolgono alle scuole, intervenendo in un contesto che, spesso, esprime uno sguardo distratto alla Bellezza e una diffusa indifferenza all’arte intesa come ‘bene comune’.

«Comunicare l’antico» è possibile se il Museo dialoga con il territorio. Al riguardo, nelle Diocesi di Reggio Calabria e di Rossano i Musei diocesani sono partners dei progetti Chiese Aperte, attuati con il contributo 8×1000 alla Chiesa Cattolica, destinandoli a volontari impegnati in attività di custodia e valorizzazione di chiese di notevole interesse storico-artistico. É possibile, anche, condividendo con le comunità il racconto degli interventi di restauro di opere museali: sono numerosi i Musei diocesani di Calabria che promuovono esperienze di cantieri aperti, autentici laboratori permanenti per la didattica del restauro.

«Comunicare il nuovo» si realizza in alcuni nostri Musei, estendendo il proprio sguardo alla complessità del presente, avviando un dialogo costante con gli artisti, consapevoli che l’opera d’arte contemporanea, inserita in un conteso museale, può fungere da «ponte in grado di unire sensibilità diverse, religiose e non» (J. Cottin).

Una vitalità preziosa è espressa dai Musei diocesani di Calabria, animati da competenza e passione autentica e tesi a realizzare un’idea di Museo ecclesiastico che, tramite la proposta dell’esperienza ecclesiale della Bellezza, si rivolga  non solo all’intera comunità cristiana, ma anche, nel quotidiano, ai ‘pubblici altri’.

Lucia Lojacono

Direttore del Museo diocesano di Reggio Calabria.

Premio 2019

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